Architettura

Rozzol Melara Trieste

Percorrendo l’autostrada A4 appena fuori dalla suggestiva città di Trieste, non è possibile distogliere lo sguardo da un agglomerato edilizio impressionante  che si staglia isolato sulle colline, il cosiddetto quartiere Rozzol Melara.

Il “quadrilatero” è costituito da abitazioni popolari in cemento armato strutturate a blocchi su piloni attorno ad un grande spazio vuoto, la prima percezione è quella di trovarsi di fronte ad enormi palafitte cementizie.

Le unità abitative sono collegate da tunnel, corridoi e ponti esterni, un sistema disorientante per cui ci si perde come dentro a un labirinto.

La realizzazione dell’impianto ha richiesto anni di costruzione, dal 1969 al 1982, con la risultante di 468 appartamenti su 10 piani in cui abitano all’incirca  2500 abitanti un autentico villaggio urbano.

GLI ESORDI

Seconda metà degli anni Sessanta, l’IACP (Istituto Autonomo Case Popolari) di Trieste stabilisce di costruire un grande complesso abitativo che, per modernità di concezione e soluzioni tecniche e formali lasciasse un segno potente nella città.

Con questo proposito, l’architetto Luciano Celli ed altri collaboratori, intesero riferirsi agli schemi costruttivi di Le Corbusier che tradusse in chiave edilizia, l’idealità utopica dei Falansteri di Charles Fourier, ovvero la compenetrazione di principi razionali ad esigenze di tipo funzionale, dando corpo ad una struttura disegnata attorno all’uomo e alle sue necessità.

Venne così ideato un complesso villaggio che integrasse al suo interno non solo residenze ma anche servizi, negozi ecc.


Esistono case popolari belle?

Una domanda insolita che trova risposta in un esempio pratico di edilizia popolare che sfida in scelte estetiche (e non solo) quella privata.


PRATICA E TEORIA SOCIO-ARCHITETTONICA

Le fonti d’ispirazione più evidenti erano l’Unitè d’Habitation di Le Corbusier e le fortezze operaie di Vienna…’ aggiornate con una spolverata di ecologismo e comunitarismo sessantottesco.

Ma in che cosa consiste questa «spolverata di comunitarismo»?

Nell’ «intenzione di fare di Rozzol Melara un grande villagio, una comunità riunita attorno alla corte».

In breve, si spera di condizionare le abitudini dei residenti attraverso la strutturazione fisica degli spazi, ma l’esperienza si rivela fallimentare.

Ciò che rimane a tutt’oggi, è la forza propria di un esperimento pseudorazionalista mal riuscito, imponendo utopie e strutture architettoniche agli esseri umani ed all’ambiente, invece di adattarle ad essi.

APPROFONDIMENTI

Falansterio (da Wikipedia)

Con il termine falansterio il filosofo e politologo francese Charles Fourier, agli inizi del XIX secolo, indicava la struttura abitativa in cui si svolgeva la vita dei membri dell’unità sociale di base prevista nelle sue teorie e da lui denominata “Falange”.

Secondo il pensatore politico francese, ogni Falange avrebbe dovuto essere costituita da un minimo di 1600 ad un massimo di 2200 individui, comprendendo circa 450 famiglie.

L’attività economica della Falange sarebbe stata fondata sulla proprietà societaria, in grado di garantire a tutti la partecipazione agli utili, in proporzione dei conferimenti fatti al patrimonio comune. Tutti al suo interno sarebbero stati al tempo stesso produttori e consumatori, partecipando agli utili sulla base di quelli che Fourier riteneva essere i tre fattori della produzione: capitale, lavoro e talento.

Il Falansterio era formato da due corpi centrali, destinati ad abitazioni e a luoghi di riunione, e da due ali, nelle quali si svolgevano tutti i lavori di carattere artigianale e manifatturiero.

Scrive Fourier: «Il palazzo avrà almeno tre piani e il sottotetto, oltre il piano terreno e il mezzanino, dove saranno situati alloggi e sale di riunione dei bambini e dei vecchi, isolati dalla strada-galleria […] È veramente una piccola città, ma non ha strade esterne e scoperte esposte alle intemperie».

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